Soffermarsi su tutte queste diversità si rischia di perdersi in un labirinto.
Io ho pensato di riferire, almeno per cenni, le novità meno conosciute, se non altro per averle cercate e per aver trovato quel qualcosa che inaspettatamente può risvegliare una certa risonanza nelle pur diverse ragioni dei più.
Si tratta di cenni e non di resoconti degni d'un trattato; chi vuol saperne di più può leggere altri miei scritti che probabilmente riuscirò a pubblicare su questo blog o con altri mezzi diversi.
Il bambino, anzi l'uovo fecondato è totipotente
Piaget afferma che, con lo sviluppo cognitivo il giovane acquista durante la pubertà il ragionamento formale. In questo stadio della conoscenza «il reale viene subordinato al possibile»; egli non dice che il reale oggettuale viene subordinato al possibile soggettivo, perché si tratta della conoscenza sotto quella lente che riconosce un ordine che necessariamente è insito in un rapporto e non imposto da un soggetto. In altre parole, il reale consiste nel possibile prodotto e il possibile consiste nel reale producente.
Tutto questo significa più semplicemente che l'essenziale o l'unicum del reale è il possibile e, in altre parole, il possibile consiste nella produzione di un qualcosa che può e che vale, cioè un bene.
Natura, verità e ordine, tutti considerati come distinzioni riunite nell'unità di ogni oggetto reale producono insieme 1) un bene, 2) manifestano un ordine 3) in un determinato esistere. La conoscenza diventa formale e obiettiva quando si comprende il bene cioè il possibile dell'oggetto conosciuto, ovverosia quando si è sperimentato il suo bene, si è esercitato un ordine vicendevole tra conoscente e conosciuto e si è stati attori di una storia comune tra i due.
Ora, se il bene comincia con una storia e finisce con il compimento di un bene, bisogna anche dire che ogni realtà è toti-potente al suo inizio e toti-precisantesi fino alla sua fine.
Questa constatazione è più evidente ed esemplare in quella realtà che è lo stesso uomo. Di fatto ogni uovo fecondato è totipotente con una forza che si va definendo e precisando al punto che questa potenza generale si differenzia e si specializza, ma anche si limita nei suoi particolari, senza conservarsi totalmente in tutte le sue parti, se non solamente nelle cellule primordiali dell'adulto.
Rousseau asseriva che il bambino è, per così dire, rovinato da una educazione imposta e Hobbes sosteneva che la società primitiva era costituita da soggetti che si comportavano tra loro come lupi rapaci, tutti e due consideravano il bambino come un uomo in fieri, o meglio, come un
Anche noi dobbiamo riconoscere che il bambino è l'uomo più aperto alla partecipazione, ovverosia alla costruzione dell'ordine e del possibile e quindi, di fatto, è l'uomo più uomo di qualsiasi adulto.
Un parere accettabile da tutti
(Estratto da ‹Breve compendio di filosofia›)
Ogni uomo ha desideri e esigenze diverse e non si accontenta di risposte ottenute in serie da una macchina che funziona a gettoni, perché si aspetta delle soddisfazioni personali. In pratica ciascuno di noi desidera essere capito, anzi di essere riconosciuto e stimato non potendo accantonare il proprio valore. D’altra parte molte volte egli s’incontra con l’indifferenza dell’ambiente che lo circonda oppure con quelle abitudini noiose che fanno diventare anche lui indifferente nei riguardi degli altri.
Dobbiamo forse rassegnarci a un modo di vivere in un mondo che non ci soddisfa completamente?
Non dobbiamo piuttosto fare il punto della situazione e chiedere alla nostra ragione delle risposte certe e soddisfacenti e, se non bastano, anche ai sapienti del nostro tempo e, in generale, alla filosofia?
D’altra parte al giorno d’oggi di sapienti ce ne sono troppi, ma le loro risposte sono fatte spesso solo per i professori e gli specialisti e non sembrano adatte al vivere comune; anzi sono talmente tra loro differenti che si contraddicono a vicenda e non servono a rassicurarci del tutto. Di per sé tanti pareri non sarebbero un male, se ci permettessero di godere un po’ di varietà, ma quando sono tra loro discordanti sono disastrosi perché non ci lasciano vivere in pace e le guerre passate e presenti non sono la miglior raccomandazione per servirsi sempre di una diversità che porta divisione e che fomenta inimicizie.
Stando così le cose, sembra questo il momento di cercare un qualche parere che sia accettabile da tutti, senza preclusioni e senza prevenzioni. Questo è possibile se cominciassimo, oggi, a ragionare da capo, come se non l’avessimo fatto fin ora. Questo partire da zero è una base che può andar bene per tutti, almeno in teoria, perché non condiziona nessuno. In altre parole, ammettiamo che vi sia un uomo che sia così vuoto di giudizi propri da aver la capacità di capire e di far suo qualsiasi parere, costui è certamente aperto al massimo della conoscenza, perché non la limita prima di apprenderla. Ebbene, prima ancora di andare in cerca di un uomo del genere, dobbiamo riconoscere d'incontrarlo tutti i giorni sotto le vesti di un bambino. Il vantaggio principale di questa scelta viene dalla considerazione non solo del fatto che un bambino quando inizia a guardare e a prendere in considerazione il suo mondo è un uomo che non esclude alcunché di quel che vede, ma anche, e soprattutto, che in questo modo veniamo a trovarci insieme a lui come in uno ‹stato di natura› senza la necessità di escogitare artifici e complicazioni, prima ancora di aver usato la ragione e di aver conseguito qualsiasi conoscenza.
Le premesse per una consonanza di pareri
A questo proposito esistono molte teorie e altrettanti interpretazioni sulle caratteristiche del ‹cucciolo dell’uomo› sia da parte di filosofi, sia degli psicologi ma, senza poter negare che ci abbiano aiutato ad avvicinarci a lui per capirlo meglio, noi vorremmo attenerci alla pura descrizione dei fatti, per non incorrere nell’errore di attribuirgli quel che è nostro e che egli invece non possiede e nemmeno conosce ancora.
Quali sono le caratteristiche tipiche del neonato?
Un neonato fin da nascita è un essere la cui vita dipende completamente dalle cure della madre o di un suo sostituto: senza di esse è condannato a morire. Si tratta quindi di una dipendenza necessaria nella quale il piccolo si muove senza nemmeno saperlo e che la stessa madre impara a conoscere da quella maestra che è la natura, anche se si fa aiutare da chi ha maggior esperienza che ha acquisito nei suoi stessi riguardi. Il neonato quando ha fame o freddo strilla e la madre rimane sul chi vive per soccorrerlo e fornirgli quel che gli manca, tutti e due obbediscono ad una necessità e ad una preoccupazione che non conoscono, o almeno, che conoscono mettendone in pratica il rimedio. In questo modo le necessità impongono un agire e gli effetti di questo agire diventano spiegazione del fatto e costituiscono un dato reale indiscutibile. In altre parole, una volta entrato in questo mondo, l’uomo si trova in uno stato di necessità, che viene soddisfatto dall’intervento di un suo simile, che sembra fatto apposta per sovvenirlo in questa occasione. Questo quadro primordiale e primario non cambierà più per tutta la durata della vita di un uomo, con un’unica differenza, che egli si accorgerà di una ripetizione al punto che ciò che prima era necessario e sconosciuto potrà diventare ricercato e scelto, oppure evitato e rifiutato. Tuttavia sia la scelta, sia il rifiuto non possono mettere in dubbio il fatto che l’uomo è un animale dipendente. Egli trova le risposte a questa dipendenza prima ancora di accorgersi della loro necessità, o almeno a prescindere dal fatto che le sappia capire e spiegare, anzi che le conosca, o le ignori. Probabilmente se le cose stanno solamente come le abbiamo descritte, allora non esiste una grande differenza tra il cucciolo dell’uomo e quello di un animale. Questo quadro è quindi incompleto. Quel che manca è la ‹corrispondenza›. Osserviamo di nuovo il quadro primario: c’è un bambino che piange, una madre che accorre, lo cura e, come conseguenza, un bambino che si acquieta. Il quadro è idilliaco: gli interlocutori sono soddisfatti e si sorridono a vicenda e anche questo sorriso è spontaneo e naturale come la stessa richiesta e la conseguente risposta adeguata ma, a un certo punto, la situazione può cambiare del tutto perché, per esempio, ci può essere una mancanza di risposta o una difficoltà di richiesta. In questo nuovo quadro si è aggiunta una mancanza che è una richiesta in più, che purtroppo sembra senza la possibilità di una risposta. Ebbene, mentre l’animale sembra sovvenire alle esigenze del suo cucciolo in modo stereotipato e senza scelta, la mamma invece può reagire in due modi: o rassegnandosi al suo fallimento e rinunciando ad ogni risposta, oppure mettendosi in cerca di qualcosa di nuovo che ella spera di trovare. La corrispondenza diventa più completa: sta in questa scelta della madre nei confronti di una mancanza; in un caso la accetta come difficoltà da superare, ma la può anche subire come fatalità senza rimedio. Mentre l’animale sperimenta le situazioni come necessarie, l’uomo le riconosce come più o meno possibili e ne sceglie le diverse possibilità che esse offrono.
Tra i due quadri che illustrano il rapporto della madre con il bambino la differenza sembra evidente ma, a ben vedere, hanno un medesimo tratto in comune che consiste in questa aspettativa di una risposta che dovrebbe venire ma, che in quel momento che non è ancora venuta, è pur sempre una mancanza. È questo bisogno insoddisfatto, o non ancora soddisfatto, che mette in risalto la straordinarietà dell’ordinario; se non ci fosse non avvertiremmo nemmeno la corrispondenza che esiste in seno al colloquio tra madre e figlio e rischieremmo di ritenere l’uno dei due interlocutori il motivo dell’altro senza accorgersi che la vera ragione dei due sta nell’armonia del loro rapporto e non nella determinazione dei singoli. In altre parole il rapporto è un colloquio e non un soliloquio; per questo rivela una corrispondenza e non una imposizione o una pretesa che cambierebbe il colloquio in una contrasto e in una affermazione di contrarietà. Anche quando questo tipo di rapporti si ripeteranno nei quadri successivi della vita di ogni giorno, anche quando gli interlocutori rifletteranno sul loro evolversi, persino quando li progetteranno – come se non fossero già programmati –; per questo, se non si disporranno a scegliere l’armonia in base ad una corrispondenza sperata, pur senza una preventiva assicurazione, rischieranno sempre di fermarsi al soliloquio e non al colloquio, con il risultato di un contrasto e non di una armonia. È inutile costruire delle teorie per giustificare il possibile contrasto o per ritenere che debba essere necessario: in un mondo di corrispondenze le aspettative favoriscono il colloquio in ordine alla ricerca ed alla scelta di una armonia prestabilita e predesiderata anche se inavvertita, mentre in un mondo di contrasti ogni richiesta è una pretesa, ogni offerta è un dominio e ogni colloquio è impossibile, sebbene necessario al fine di non impedire qualsiasi rapporto, più necessitante dello stesso colloquio e più limitante delle stesse dipendenze.
In altre parole, se qualche filosofo ha sostenuto che l’uomo è un lupo per un altro uomo e se la vita della società è una guerra, non ha detto il falso, ma ha descritto quel rapporto di persone che cercano quello che non è spontaneo e ordinario, ma che pretendono di sostituirlo a quello naturale. Se altri filosofi hanno sostenuto che il bambino rivela una natura felice e buona, non hanno detto il falso, ma hanno descritto un singolo interlocutore di un rapporto che invece è tra due persone diverse, pur corrispondenti tra loro. Piuttosto per noi è importante sapere che il colloquio presuppone sempre una disposizione assenziente e assertiva e non contrastante o dominante; anzi la corrispondenza del rapporto postula la necessità di questa armonia o di questo ordine che l’uomo impara ben presto ad ammettere come un dato di fatto, così come lo è il colloquio stesso.
Dopo queste osservazioni sembra che ci siamo allontanati da quanto ci eravamo prefissi perché abbiamo parlato quasi più di come noi conosciamo il bambino al posto di riconoscere come il bambino rappresenti per noi l’esempio della natura incontaminata dell’uomo. Dobbiamo quindi ritornare a considerare le sue caratteristiche primordiali.
L’uomo allo stato di natura
(Estratto da ‹paginario 07›)
Il termine ‹natura› oltre a significare lo stato dell’essere delle realtà è anche usato come sinonimo delle cose sensibili di questo mondo. Qui lo prendiamo in considerazione nella prima delle due accezioni per descrivere lo stato dell’essere uomo.
A questo proposito ciò che è natura
Il bambino nel suo sviluppo traduce nella pratica di ogni momento le sue efficienze naturali, in altre parole, realizza se stesso e, per così dire, costruisce tante precisazioni di sé che mostrano, sotto le vesti di qualità dell'esistere, le caratteristiche delle proprietà dell’essere. Tutto questo lavoro cognitivo e affettivo non impegna solamente il suo esistere, ma è anche frutto del suo spirito. Non solo, non è il risultato unicamente del suo impegno personale, ma è reso possibile dal concorso del contesto culturale e dall’influenza morale delle consuetudini civili della società in cui vive. Come la natura dell’uomo dipende ed è consistente nell’insieme del tutto che lo circonda, così la cultura non nasce solamente dal lavoro personale, ma dipende sempre dal contesto e la civiltà dall’esperienza del suo costume.
Da questo punto di vista lo stato di natura dell’uomo, e quindi il termine ‹natura›, si riferisce all’essere dell’uomo nel suo universo, mentre cultura riguarda l’esistere e civiltà la sua morale: natura quindi è connessa con l’ontologia di una persona, cultura con la razionalità e la comunicazione e, infine, civiltà rappresenta lo spirito e il suo ordine.
Noi abbiamo tratto un esempio della natura dell’uomo da quel bambino così come appare fin dai primi giorni della sua vita. Si tratta di un esempio e non solamente di una descrizione, né ancor meno di una immaginazione. Altri esempi, o immaginazioni, sono stati descritti da altri autori.
Hobbes pensava che l’uomo allo stato naturale fosse un adulto in mezzo a tanti adulti come un lupo in un branco di lupi, con i quali doveva trovare un accordo per non venir divorato, usando tutte le gentilezze e il buon umore che sarebbero stati necessari per stabilire un contratto che fosse chiaro e inderogabile per sempre. A parte come io ho riferito il suo pensiero, che pecca di parzialità e di incompletezza, è indiscutibile che un bambino nasce vive e muore in un contesto non sempre nemico e non sempre ostile, cominciando dai suoi rapporti con la mamma, pur tuttavia, una volta adulto può comportarsi come un ostacolo per gli altri e non come un aiuto. Da questo punto a quello di attestare che gli altri gli rendono pane per focaccia il passo è breve, con la conseguenza di prevedere l’incontro con altri lupi per il solo fatto di essersi comportato una sola volta come un lupo. Per comprendere meglio questo modo di considerare il problema, immaginiamo che uno psicologo debba curare un ‹lupo› inviatogli dall’autorità giudiziaria; ebbene, in questo caso, non fonderà i suoi argomenti usando i paragrafi del codice per indurlo a cambiare vita, ma cercherà di convincerlo riportandolo al suo stato naturale di essere che dipende dai suoi simili e dall’intero universo per natura e non per imposizione legale, altrimenti rischierà di fare un automa obbediente e non un uomo convinto.
Del tutto diversa è la descrizione dello stato di natura da parte di Locke e soprattutto di Rousseau. Per questi autori l’uomo cresce e realizza meglio se stesso se non viene ‹denaturato› dalla cultura e dalla civiltà. Anche in questo caso si tratta di una visione parziale di quella natura che non può fare a meno del contesto in cui vive, come questi stessi autori riconoscono parlando di educazione.
C’è un altro autore che ha descritto la natura in modo esemplare nel testo biblico della ‹genesi›. Si tratta della figura di Adamo che dipende del tutto dal suo ambiente, ma non come schiavo, bensì come un re responsabile che dà a ogni cosa che lo circonda la sua denominazione e, quindi, il suo significato effettuale. Questo uomo ha tutto, perché ha ricevuto tutto, ma gli manca ancora un altro se stesso, uno uguale a sé eppur distinto. Si tratta di Eva che ha, rispetto a lui, quello di cui egli manca e che ha in meno quello che ha il suo interlocutore e quel che manca sia a lei, sia al suo interlocutore, se si considerano come persone isolate, che è il rapporto stesso, o meglio lo spirito del rapporto che è amore. L’uomo compare sulla terra per manifestare l’amore che egli ha ricevuto, ma l’amore non è più tale se è un poco affetto da egoismo. Il vero uomo che mostrerà il vero amore è L’Amore stesso con l’iniziale maiuscola, ma questi non può essere che un Dio incarnato.