sabato 19 giugno 2010

L'umanità nel deserto


Riflessioni d'attualità
In diverse epoche, autori diversi hanno paragonato la storia dell'umanità al passaggio degli Ebrei nel deserto dall'Egitto alla terra promessa e probabilmente qualcuno lo ha fatto anche oggi: non è quindi niente di nuovo riritornare sull'argomento, ma io vorrei accennare a un significato forse non comune dei personaggi di questa storia. Mosè è stato certamente la guida dei suoi connazionali, ma non sempre compreso, alle volte contestato, eppure l'unico che ha portato avanti gli Ebrei sul loro cammino non solo materiale, ma anche di popolo in via di ritrovare la sua compagine e la sua identità morale. Anche per l'umanità di oggi qualcuno ha cercato un Mosè e qualcuno lo ha ritrovato nella cultura occidentale, qualcun altro stranamente lo ha identificato in una nazione guida, più concretamente altri ancora lo hanno visto nel Gesù di oggi che è incarnato nella sua chiesa, ma il Mosè della storia non sapeva parlare e il vero Padrone della storia gli affiancò una specie di ministro della propaganda in Aronne. L'Aronne di oggi potrebbe essere figurato nel politico di tutti i giorni e nella politica del nostro cosiddetto progresso e in effetti molti hanno più fiducia oggi nella politica che non nella religione. In ogni caso Aronne è stato indicato da Dio stesso, anche se scelto fu Mosè. Fin qui il paragone non fa una grinza, ma a rovinar il quadro compare la moglie di Aronne. È lei che induce lo stesso marito e forse la gente del loro seguito a sbarazzarsi di Mosè, perché Aronne possa prendere il suo posto, ma è anche lei a prendersi le conseguenze, perché si vede colpita da un giorno all'altro dalla lebbra che a quei tempi era segno di impurità. A questo punto ciascuno può cercare l'impurità che colpisce questa o quell'altra società o nazione attuale, ma non farà fatica a trovare una crisi economica o un qualche altro castigo che affligge il popolo che attraversa il deserto. In questa occasione, ancora una volta è Mosè il chiamato a risolvere il o i problemi e ancora una volta egli risanerà la moglie di Aronne, ma non subito, perché Dio stesso anche oggi dice: "Si è ribellata, ebbene sia pur guarita, ma non dall'oggi al domani, perché si accorga del male che ha fatto lei e chi si è fidato di lei". Bisogna forse riconsiderare le cose: Mosè era scelto, ma Aronne era necessario, persino la malattiua della moglie di Aronne era opportuna, per indurci a pensare come andavano le cose perlomeno allora.

domenica 6 giugno 2010

Il giudizio de ‹il bello›

‹il bello›
L’uomo conosce immagini, concetti, idee ma, strettamente parlando non si può dire che conosce il bello, bensì cose belle, in questo senso l’avvertenza o la definizione di ciò che è bello dipende da un giudizio e non solo da una conoscenza.
Il giudizio consiste in un procedimento molto complesso; in primis si basa sulla conoscenza nel senso di acquaintance e, proprio per questo, presume il raggiungimento di un ordine tra soggetto ed oggetto conosciuto che mette in rilievo, a sua volta, sia l’armonia insita nell’uno, sia nell’altro, come due unità distinte che concorrono a formare l’unità del loro rapporto. In questo senso un giudizio per essere tale deve essere vero, ovverosia rispecchiare la verità dei singoli e del loro rapporto, ma nello stesso tempo non può essere contrario al bene che producono ed al bello che mostrano. Se si considera il giudizio come un riconoscimento della natura dell’ente-conoscenza (Bekanntschaft - acquaintance) e, quindi, delle sue facoltà e proprietà si è portati a sottolineare il bene che esso opera, mentre considerando le qualità ci si sofferma sulla verità che manifesta, ebbene, a chi considera l’ordine dei singoli e dell’insieme non può sfuggire nemmeno l’armonia che esprime l’unità delle proprietà e delle qualità. D’altra parte c’è anche una interpretazione corrente ben diversa del bello, come se fosse un qualcosa che nasconde il brutto e l’abituale, per mettere in risalto quello che non è del tutto vero, perché è frutto dell’immaginazione, o magari, dell’illusione, come se fosse opera di un sentimento senza alcun fondamento razionale. Per rispondere a questa obiezione basta un esempio. Come non c’è un amore irragionevole, anche quando è spinto ai limiti del razionale, così non esiste un bello senza una ragione: perfino quando il bello-sublime sembra nasconderla non la può tuttavia negare. Questo dipende dal fatto che ci sono diversi modi di giudicare ciò che è ‹bello› al punto che alle volte si afferma che qualcosa è bella e, invece, è solamente ornamentale, o artistica, alla volte solamente piacevole. Con una razionalità concettuale si può affermare che sia quasi impossibile riconoscere il bello – per esempio una affermazione del tipo: ‹la bellezza del sacrificio› sarebbe un non senso per chi predilige il piacevole al posto dell’ideale. È proprio il passaggio da una razionalità concettuale ad una eidetica (degli ideali) il presupposto della formulazione di giudizi di bello, vero e bene. Questo non significa che un bambino che non ha raggiunto uno sviluppo razionale completo non riconosca il bello, ma solamente che, anche quando lo avverte, non lo sa spiegare e non è nemmeno sicuro di evitare un giudizio errato, magari solamente perché è confuso, oppure deformato da una affettività non purificata e in qualche modo ancora appesantita dal solo sensibile.

Il giudizio

Lo spirito che anima il giudizio
Per giudizio per lo più s’intende la conclusione di una determinazione logica e quindi per estensione equivale al significato di saggezza e prudenza; tuttavia più propriamente saggezza e prudenza sono virtù e non sono una facoltà della mente come, invece, lo è la logica. Il fatto è che l’uomo chiama insieme a consesso sia le facoltà, le capacità, e le virtù per emettere un giudizio. Quel che è importante sta nel non attribuire alla sola ragione i giudizi come se non esistesse lo spirito che anima sia la ragione sia la natura.
Ammesso che possa mancare lo spirito, la natura diventerebbe un blocco rigido e la ragione un ammasso di parti diverse, ma perché le facoltà naturali e le qualità esistenziali sono rivolte le une alle altre possiedono tra loro uno Spirito che le anima e ne sigilla la loro unità. Lo spirito dona la fiducia all’essere, la speranza all’esistere e insieme a loro rende la realtà amabile.