‹il bello›
L’uomo conosce immagini, concetti, idee ma, strettamente parlando non si può dire che conosce il bello, bensì cose belle, in questo senso l’avvertenza o la definizione di ciò che è bello dipende da un giudizio e non solo da una conoscenza.
Il giudizio consiste in un procedimento molto complesso; in primis si basa sulla conoscenza nel senso di acquaintance e, proprio per questo, presume il raggiungimento di un ordine tra soggetto ed oggetto conosciuto che mette in rilievo, a sua volta, sia l’armonia insita nell’uno, sia nell’altro, come due unità distinte che concorrono a formare l’unità del loro rapporto. In questo senso un giudizio per essere tale deve essere vero, ovverosia rispecchiare la verità dei singoli e del loro rapporto, ma nello stesso tempo non può essere contrario al bene che producono ed al bello che mostrano. Se si considera il giudizio come un riconoscimento della natura dell’ente-conoscenza (Bekanntschaft - acquaintance) e, quindi, delle sue facoltà e proprietà si è portati a sottolineare il bene che esso opera, mentre considerando le qualità ci si sofferma sulla verità che manifesta, ebbene, a chi considera l’ordine dei singoli e dell’insieme non può sfuggire nemmeno l’armonia che esprime l’unità delle proprietà e delle qualità. D’altra parte c’è anche una interpretazione corrente ben diversa del bello, come se fosse un qualcosa che nasconde il brutto e l’abituale, per mettere in risalto quello che non è del tutto vero, perché è frutto dell’immaginazione, o magari, dell’illusione, come se fosse opera di un sentimento senza alcun fondamento razionale. Per rispondere a questa obiezione basta un esempio. Come non c’è un amore irragionevole, anche quando è spinto ai limiti del razionale, così non esiste un bello senza una ragione: perfino quando il bello-sublime sembra nasconderla non la può tuttavia negare. Questo dipende dal fatto che ci sono diversi modi di giudicare ciò che è ‹bello› al punto che alle volte si afferma che qualcosa è bella e, invece, è solamente ornamentale, o artistica, alla volte solamente piacevole. Con una razionalità concettuale si può affermare che sia quasi impossibile riconoscere il bello – per esempio una affermazione del tipo: ‹la bellezza del sacrificio› sarebbe un non senso per chi predilige il piacevole al posto dell’ideale. È proprio il passaggio da una razionalità concettuale ad una eidetica (degli ideali) il presupposto della formulazione di giudizi di bello, vero e bene. Questo non significa che un bambino che non ha raggiunto uno sviluppo razionale completo non riconosca il bello, ma solamente che, anche quando lo avverte, non lo sa spiegare e non è nemmeno sicuro di evitare un giudizio errato, magari solamente perché è confuso, oppure deformato da una affettività non purificata e in qualche modo ancora appesantita dal solo sensibile.
domenica 6 giugno 2010
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