Perché Dio è ‹causa prima›?
Perché è la causa di tutte le cause. Siccome le realtà sono vicendevolmente causa della loro unità ci deve essere una ‹unità› come causa che non può essere confusa tra le altre, perché allora non sarebbe una unità, ma una delle tante molteplicità.
Perché Dio è ‹causa sui›, ovverosia non dipende da atre cause?
Perché una causa che è a sua volta causata, non è una causa vera e propria, ma solamente una concausa che esige una causa sui come causa prima.
domenica 30 maggio 2010
giovedì 6 maggio 2010
Realtà - dono
Perché io sottolineo che tutto ciò che siamo e che abbiamo ci è stato dato in dono? Perché noi non conosciamo niente se non in forma di un dono ricevuto.
In effetti, si potrebbe perfino concedere che noi non conosciamo questa o quell’altra cosa nel senso di una cosa come è, ma ‹come se fosse›, al punto che non siamo nemmeno sicuri di conoscerla bene, ma nessuno mette in dubbio di ‹riconoscere› tutte le cose in veste di bene nei propri riguardi, perché giungono alla sua considerazione come un dono che corrisponde a quel che egli cerca. Ancora, noi non conosciamo nessuna cosa come era o come sarà, anzi, noi stessi non siamo sicuri della nostra vita, eppure condividiamo il nostro presente con quello delle cose perché siamo connessi con esse in ogni momento come e perché ci giungono in dono. Ma soprattutto le realtà sono un dono per noi, perché ci fanno trovare il nostro posto nell’insieme; esse giungono come quel contributo necessario che ci fa spazio e ci lascia tempo e questo regalo si chiama ordine.
Se non avessimo ricevuto le realtà come dono, non saremmo nemmeno capaci di donarle a nostra volta, e di essere noi stessi un dono per loro.
Concludendo: non solo abbiamo ricevuto tutto in dono, ma il più grande dono tra tutti sta nel fatto che abbiamo ricevuto la capacità di riconoscerlo per diventare anche noi sempre più ‹dono› per i nostri simili e per la stessa natura che ci circonda.
In effetti, si potrebbe perfino concedere che noi non conosciamo questa o quell’altra cosa nel senso di una cosa come è, ma ‹come se fosse›, al punto che non siamo nemmeno sicuri di conoscerla bene, ma nessuno mette in dubbio di ‹riconoscere› tutte le cose in veste di bene nei propri riguardi, perché giungono alla sua considerazione come un dono che corrisponde a quel che egli cerca. Ancora, noi non conosciamo nessuna cosa come era o come sarà, anzi, noi stessi non siamo sicuri della nostra vita, eppure condividiamo il nostro presente con quello delle cose perché siamo connessi con esse in ogni momento come e perché ci giungono in dono. Ma soprattutto le realtà sono un dono per noi, perché ci fanno trovare il nostro posto nell’insieme; esse giungono come quel contributo necessario che ci fa spazio e ci lascia tempo e questo regalo si chiama ordine.
Se non avessimo ricevuto le realtà come dono, non saremmo nemmeno capaci di donarle a nostra volta, e di essere noi stessi un dono per loro.
Concludendo: non solo abbiamo ricevuto tutto in dono, ma il più grande dono tra tutti sta nel fatto che abbiamo ricevuto la capacità di riconoscerlo per diventare anche noi sempre più ‹dono› per i nostri simili e per la stessa natura che ci circonda.
Anche l’esistere è eterno
La filosofia di Parmenide si sofferma sul problema dell’‹essere›. Secondo questo filosofo, l’essere, in quanto immutabile, non si conosce per mezzo dell’esperienza sensibile, che è invece mutevole, ma la sua definizione dipende dalla logica razionale.
A proposito non si deve confondere il termine ‹immutabile› con quello di ‹eterno›. È vero che ciò che non muta non sente l’influenza del tempo e, almeno in un certo senso, se non cambia rimane in eterno, ma anche ciò che cambia sempre perché vive, se non smette mai di mutare, proprio per questo non finisce, e rimane in eterno. La diversità tra l’eternità dell’essere e dell’esistere sta che la prima è atemporale e la seconda invece dipende da un tempo che non finisce. In questo senso è quasi più eterno l’esistere che non l’essere; ma le cose non stanno solamente così, perché non c’è nessun essere senza il suo esistere e, al contrario, ciò che non esiste non è. È solo per distinguere che si parla di esistere ed essere, ma nessuna delle due distinzioni si sottrae all’unità. Anche il termine atemporale e temporale è poco chiaro se non si ammette che il loro significato si basa su quello di ‹ordine›. L’ordine, a sua volta, in un certo senso, è eterno così come lo sono l’esistere e l’essere ma, anche a questo proposito, non perché è fuori del tempo, ma perché genera tutti i tempi. Come l’essere opera nelle facoltà e l’esistere nelle qualità, lo spirito opera ordine e quindi enumera tutti i tempi e tutte le misure.
Tutto ciò che è, non ha fine, perché non smette di esistere nell’ordine, ma tutto ciò che esce dall’unità è già finito ancor prima di cominciare. Bisogna poi aggiungere che, come ogni distinzione concorre all’unità, così ogni tempo concorre alla eternità, purché sempre nell’ambito dell’unità. In questo senso, l’eternità delle realtà così dette temporali dipende quindi dalla partecipazione e non da una idea o da una ragione o da un pensiero che non sia vita, ma da una vita che è senza fine, perché analizza e distingue anche i pensieri.
A proposito non si deve confondere il termine ‹immutabile› con quello di ‹eterno›. È vero che ciò che non muta non sente l’influenza del tempo e, almeno in un certo senso, se non cambia rimane in eterno, ma anche ciò che cambia sempre perché vive, se non smette mai di mutare, proprio per questo non finisce, e rimane in eterno. La diversità tra l’eternità dell’essere e dell’esistere sta che la prima è atemporale e la seconda invece dipende da un tempo che non finisce. In questo senso è quasi più eterno l’esistere che non l’essere; ma le cose non stanno solamente così, perché non c’è nessun essere senza il suo esistere e, al contrario, ciò che non esiste non è. È solo per distinguere che si parla di esistere ed essere, ma nessuna delle due distinzioni si sottrae all’unità. Anche il termine atemporale e temporale è poco chiaro se non si ammette che il loro significato si basa su quello di ‹ordine›. L’ordine, a sua volta, in un certo senso, è eterno così come lo sono l’esistere e l’essere ma, anche a questo proposito, non perché è fuori del tempo, ma perché genera tutti i tempi. Come l’essere opera nelle facoltà e l’esistere nelle qualità, lo spirito opera ordine e quindi enumera tutti i tempi e tutte le misure.
Tutto ciò che è, non ha fine, perché non smette di esistere nell’ordine, ma tutto ciò che esce dall’unità è già finito ancor prima di cominciare. Bisogna poi aggiungere che, come ogni distinzione concorre all’unità, così ogni tempo concorre alla eternità, purché sempre nell’ambito dell’unità. In questo senso, l’eternità delle realtà così dette temporali dipende quindi dalla partecipazione e non da una idea o da una ragione o da un pensiero che non sia vita, ma da una vita che è senza fine, perché analizza e distingue anche i pensieri.
Lo spirito che anima il giudizio
Con il termine ‹giudizio› per lo più s’intende la conclusione di una determinazione logica e quindi per estensione equivale al significato di saggezza e prudenza; tuttavia più propriamente saggezza e prudenza sono virtù e non sono una facoltà della mente come, invece, lo è la logica. Il fatto è che l’uomo chiama insieme a consesso sia le facoltà, le capacità, e le virtù per emettere un giudizio. Quel che è importante sta nel non attribuire alla sola ragione i giudizi come se non esistesse lo spirito che anima sia la ragione sia la natura.
Ammesso che possa mancare lo spirito, la natura diventerebbe un blocco rigido e la ragione un ammasso di parti diverse, ma perché le facoltà naturali e le qualità esistenziali sono rivolte le une alle altre possiedono tra loro uno Spirito che le anima e ne sigilla la loro unità. Lo spirito dona la fiducia all’essere, la speranza all’esistere e insieme a loro rende la realtà amabile.
Ammesso che possa mancare lo spirito, la natura diventerebbe un blocco rigido e la ragione un ammasso di parti diverse, ma perché le facoltà naturali e le qualità esistenziali sono rivolte le une alle altre possiedono tra loro uno Spirito che le anima e ne sigilla la loro unità. Lo spirito dona la fiducia all’essere, la speranza all’esistere e insieme a loro rende la realtà amabile.
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