mercoledì 25 agosto 2010

Ordine, ragione, verità


Che rapporto c’è tra ordine e ragione ai fini della conoscenza della verità?
Si può rispondere con un esempio.
Se io ho un libro per capire quel che c’è scritto devo leggere una pagina dopo un’altra, dal principio alla fine e non una o l’altra pagina a casaccio. L’ordine della lettura è necessario, ma il significato lo danno le pagine scritte e non la loro successione. Le realtà non sono tanto vere per quel che significano singolarmente isolate dal loro contesto, ma l’ordine non accresce la conoscenza solamente la permette. Del resto, ordine e processo cognitivo, pur complementari, non riescono da soli a dare la verità di una realtà: è solamente la relazione tra soggetto ed oggetto responsabile capace di costruire una conoscenza come ‹acquaintance› (conoscenza come ente cognitivo risultato dalla'unità tra conoscente e conosciuto).

Dio è Verità

Ho finito in questi giorni di scrivere un commento a proposito della verità come è illustrata da Platone con la teoria delle Idee.
Tra le altre cose pensavo:
Dio è Verità ma la verità cos’è?
La verità è un processo di precisazione, se si considera una manifestazione dell’‹Esistere›,
è una formalizzazione-memoria se è frutto dell’ordine dello ‹Spirito›,
infine,
è una entificazione (creazione) se è opera dell’‹Essere›.

Materia


Il materialismo è una dottrina filosofica, secondo cui l’intera realtà o è costituita da materia o deriva dalla materia. In base a questo assunto, la materia è la realtà ultima, mentre coscienza e conoscenza sarebbero solamente attività dell’uomo come espressione del funzionamento del suo corpo.
La materia, poi, sarebbe il fisico che la esperimenta e il fisico che è sperimentato, composto di innumerevoli parti sempre più frazionate e frazionabili.
In pratica il materialismo identifica pensiero, sentimenti e proprietà naturali, con forme diverse di cose materiali, ossia esclusivamente dotate di materia. Si tratta di fenomeni legati con la vita e, più precisamente, con la vita degli uomini che, sempre per i materialisti, possederebbero una materia più evoluta delle cose inanimate e degli stessi animali.
Il problema sta nel definire in che cosa consiste questa diversità delle due materie (quella animale e quella umana). È ovvio che tutti i pensieri dell’uomo seguono ad una conoscenza che inizia con una avvertenza sensibile della realtà e che ogni sentimento nasce insieme ad una sensazione, così come le proprietà naturali sono anche fisiche, ma tutto questo è solamente materiale? Quale è il termine per distinguere i due aspetti della realtà? Questa distinzione è solamente opportuna oppure reale?
In pratica, quando gli ‹spiritualisti› parlano di ‹amore› intendono qualcosa di diverso da ciò che ammettono i ‹materialisti›? Una risposta che affermi che non esiste una differenza, ma solo una supposizione diversa, non risolve il problema, ma aumenta la confusione.
Se ci si può accontentare di una ragione confusa non si può impedire a chi lo vuole di cercare una distinzione più chiara.
Anche e soprattutto in questo campo una ragione più chiara non può verificarsi se non con l’aiuto di una coscienza più pura, ovverosia liberata dall’erotismo.

lunedì 16 agosto 2010

La guerra non è una perfezione

Gli Spartani e gli Ateniesi
Qualche tempo fa alla televisione una decina di scienziati della storia, professori di università famose, hanno raccontato la guerra del Peloponneso tra il 431 e il 404 a.C. fra Atene e Sparta per l’egemonia sulla Grecia. Come al solito i contendenti erano convinti di avere il diritto di imporre i propri usi e costumi come se fossero i più giusti senza negare le convenienze pratiche e i vantaggi economici che ne sarebbero venuti se fossero riusciti ad imporli e, sempre come al solito si trattava di essere di destra o di sinistra, ovvero più liberali o più austeri
La guerra segnò il declino delle città stato perché, come in tutte le guerre, non vinsero i contendenti, ma vinse la discordia e perse la civiltà. Il racconto dei nostri professori aveva l’intenzione evidente di dimostrare la tesi che Sparta retta da un ordinamento meno liberale, ma più rigido, caratterizzato da un’etica intransigente animata da costumi irreprensibili finì malamente i suoi giorni senza lasciare traccia di sé, mentre Atene retta da una ideologia democratica più tollerante e più possibilista, pur ridotta in macerie lasciò, nei ruderi rimasti, le tracce di un’arte e di una civiltà imperitura.
Probabilmente gli Spartani con le loro virtù non avevano tempo di costruire i monumenti e, allo stesso modo, con le loro discussioni gli Ateniesi erano spinti a mettere in mostra la loro tecnica con altrettanta arte; quel che è meno evidente è a cosa sia potuto servire una tale disparità di costumi, a meno che qualcuno sostenga che la troppa moralità e la troppa liberalità servano solamente per incentivare le guerre. I nostri professori sostenevano come l’una e non l’altra delle due civiltà dovesse necessariamente prevalere, tanto è vero che, a parer loro, solo Atene aveva lasciato un ricordo di sé. Il fatto poi che tutte e due ebbero lo stesso destino di morte non è stato nemmeno preso in considerazione.
È sorprendente come chi è sicuro d’aver ragione escluda facilmente che di ragioni ce ne possano essere tante, al punto di non ammettere che ve ne siano altre più comprensive. Nessuno dei professori pensava che se ci sono due costumi, due convenienze e due ideologie non debbano necessariamente escludersi a vicenda senza nemmeno immaginare che possano concorrere alla ricerca, se non di una perfezione, almeno di un completamento reciproco al posto di eliminarsi a vicenda. Tutti pensano che il proprio parere è il migliore e per questo quasi tutti finiscono per farsi la guerra con l’intento di imporre quel che a loro sembra preferibile, mentre pochi avvertono che il ‹bene› sta nella pace che accorda gli sforzi non solo per raggiungerlo insieme, ma anche per definirlo, al posto di costringerlo entro limiti scelti arbitrariamente.
In una parola, è più facile trovare un uomo, o un partito, o una politica che si credono perfetti al punto di far la guerra per imporsi, al posto di cercare insieme il Dio della perfezione che è sempre più conveniente per gl’imperfetti, ma anche per i professori.

venerdì 6 agosto 2010

Amore possessivo e amore personale


Mi hanno chiesto un parere su un problema con un: “Dimmi qualcosa” che sono due parole semplici, ma che nascondono una certa preoccupazione. Noi ci preoccupiamo sempre per i nostri cari, perché li amiamo, come se fossero noi stessi, ma rischiamo con i nostri consigli e il nostro aiuto di togliere a loro la libertà e questo non è amore.
C’è un amore possessivo e uno personale.
Per capire la differenza bisogna rifarsi all’amore come virtù, che ha un duplice aspetto: di essere generosa e magnanima e nello stesso tempo giusta, ovverosia che se per un verso interviene, per un altro verso riconosce il proprio della persona amata e lo rispetta. Non si tratta quindi di indifferenza, ma di un amore unitivo che insieme è fiducioso e pieno di speranza; Tuttavia, potrebbe rimanere ancora qualche dubbio di non aver provveduto a sufficienza e di essersi tranquillizzati solo perché si sono scaricate sugli altri le proprie responsabilità, eppure non è così, se riconosciamo di non essere gli unici che possono amare; infatti, oltre a noi, si tratta di rivolgersi a Dio, per partecipare del suo amore. Così facendo diventiamo quasi onnipotenti come lui. Infatti, mentre noi interveniamo con il nostro consiglio, è già intervenuto egli stesso che vedendo la nostra preoccupazione la ha ascoltata come una preghiera. È questa unità con il Padre che ci rende tutti fratelli, sia che diamo un consiglio, sia che rispettiamo la responsabilità di chi ce lo ha chiesto. In questo senso l’amore diventa personale e non indifferente, ma nemmeno possessivo.

Depossessione e conoscenza


Perché senza depossessione non ci può essere una conoscenza obiettiva della realtà?
Semplicemente perché il possesso di una realtà è soggettivo e quindi impedisce un rapporto vero che viene invece compromesso sia dalla soddisfazione del possesso sia dalla paura della perdita di quella sostanza che la realtà rappresenta. Soddisfazione e paura impediscono non solo un rapporto puro con la realtà, ma anche poco chiaro e stendono un velo che nasconde la costruzione di una conoscenza (acquaintance) con l’esercizio della partecipazione.
Per comprendere questo assunto bisogna riferirsi al processo della conoscenza quando nel suo sviluppo diventa possessiva. Con una conoscenza iconica il bambino si impossessa delle apparenze della realtà con la quale si rapporta per giocare con essa. Con la conoscenza concettuale il fanciullo si impossessa del piacere che la realtà gli procura. Immagini e concetti si legano in questo modo al possesso prima delle apparenze figurative e poi delle qualità di una realtà e le deformano o le soggettivizzano, deformando così la stessa conoscenza. In questo modo la realtà non appare e non vale per quel che è, ma per quel possesso che l’uomo intrattiene con essa. Al contrario, quando la realtà non ha padroni diventa padrone di se stessa e tutti la rispettano per quel che è e non per il fatto che la posseggono.
È l’universalità del rapporto che garantisce l’obiettività della conoscenza. Questa universalità è possibile perché nasce dall’accordo anche solo tra due persone e non dal possesso di una sola persona, non tanto della realtà in se stessa, ma di quel tipo di rapporto che loro intrattengono con essa.
La possessione colora ed emoziona il rapporto, mentre l’accordo comune chiarisce e purifica il rapporto stesso permettendo alla realtà non solo di esistere, ma anche di essere quello che essa è. Il rapporto che nasce da un giudizio basato sulle virtù dello spirito e sulla partecipazione dell’essere induce l’esistere a considerare la realtà un bene e quindi a rispettarla come dono e non a rubarla per possederla. Quando si ama e si rispetta una realtà la si vede, per partecipazione e per quanto possibile, con gli occhi di chi la ha creata, così come era stata pensata in quel cielo che non è un iperuranio, ma un fuoco di amore per tutte le realtà, uomo compreso, riunite nell’accordo della verità e del bene.

Massime

7022
Non si nasce con la scienza infusa
ma si acquista con lo studio.
Si nasce invece con le virtù infuse
ma si perdono se si tralascia di esercitarle.
7023
Senza lavoro non vale la virtù né la ragione.
Senza fatica non funziona né testa né cuore.
7024
Se si cerca solo e sempre chi ha colpa
non si troverà mai chi ha ragione.
7025
Chi è esclusivamente impegnato a combattere il male
non troverà mai tempo per promuovere il bene.

Psicologismo - intellettualismo


Con il termine di psicologismo il più delle volte ci si riferisce ad una filosofia che invece è psicologia. La psicologia sarebbe una scienza che studia le tecniche delle buone relazioni tra persone, mentre non considera di proposito le ragioni e i sentimenti che reggono queste relazioni, sebbene questo assunto è più teorico che pratico. C’è anche una filosofia della psicologia che più propriamente consisterebbe nella morale, ma questo termine è alle volte usato dalla filosofia in un modo intellettualistico che, per l’appunto, vede tutto come psicologismo quel che riguarda la psicologia.