Lo psicologo e il medico possono credere?
(Intervista)
(Intervista)
Ogni medico, almeno qualche volta, si è sentito interrogare sui rapporti tra medicina e religione, sull’influenza del pensiero di Gesù su questa branca della scienza e sui conseguenti riflessi pratici.
Questa intervista può portare alcuni interessanti contributi all’argomento, forse anche originali.
Ecco quindi domande e risposte.
Si può dire che Gesù avesse un suo modo di considerare i problemi sanitari del tempo?
Certamente egli è venuto in contatto con le molte sofferenze della sua gente, quindi con i malati.
Leggendo il vangelo si ha anzi l’impressione che egli rivolgesse la sua attenzione proprio a questi ‘ultimi’ della società e tutti sanno che durante la sua vita ha fatto moltissime guarigioni miracolose,1 tuttavia non si può dire che egli valutasse questi problemi come lo farebbe oggi un funzionario del ministero della sanità (Mt. 11, 2-6).
In che considerazione teneva la medicina?
Non credo si conosca il suo giudizio a proposito, il vangelo accenna piuttosto a quello che avevano i suoi contemporanei.
Per esempio a proposito di una donna che soffriva di emorragia, riferiscono come ella avesse affrontato ingenti spese per la cura e per gli onorari medici, non solo senza ottenere la guarigione, ma anzi andando di male in peggio (Mc. 5, 25-34).
Questo episodio non sembra esprimere un entusiastico apprezzamento dell’arte medica di quel tempo, che del resto, come in tutta l’antichità era ancora a livelli primitivi.
Nel vangelo spesso i malati si presentano in uno stato di cronicità senza la minima speranza di trovare qualche rimedio al loro male, che viene accettato come inevitabile, anche se sicuramente essi non avranno evitato di cercare la guarigione o almeno di desiderarla.
Non si può tuttavia dedurre che Gesù e il suo entourage disprezzassero i sanitari e le loro pratiche terapeutiche.
In un certo senso è vero il contrario. Dopo aver guarito dieci lebbrosi, raccomanda loro di farsi dare, diremmo noi oggi, il certificato di fine malattia e di assenza di pericolo di contagio dall’autorità competente del tempo per questi casi (Lc. 17, 11-19).
Allora non riteneva inutile la cura del malato?
Come si è già accennato egli fece molte guarigioni strabilianti, non solo senza l’uso di medicamenti, ma anche senza la fatica e i disagi connessi con le terapie, manifestando sempre una premurosa attenzione verso i malati, per cui sembra raccomandarla, almeno a coloro che non sanno fare i miracoli.
La sua osservazione ha un accento umoristico! Ma in pratica cosa significa?
Gesù si è identificato con il bisognoso e ha avvisato i suoi discepoli che egli ritiene fatto a se stesso ogni cura ed attenzione rivolta a chi chiede aiuto e quindi anche agli ammalati (Mt. 25, 31-46).
Quindi non riteneva la medicina una tecnica solamente utile, ma una vera preoccupazione rivolta al paziente dove anche la scienza ed il sapere trovano il loro ruolo di impiego e di servizio.
Egli personalmente, non essendo medico, non si è mai spacciato per tale, né ha mai usato dei medicamenti nel senso classico della parola.
Insomma, usando il linguaggio moderno, si deve dire che non è mai stato un abusivo.
Eccezionalmente ha adoperato la propria saliva per aprire le orecchie a un sordo (Mc. 7, 33-37) e gli occhi ad un cieco (Gv. 9, 1-7), ma gli scrittori che ci riferiscono questi fatti insistono che devono essere considerati come dei segni a prova della sua onnipotenza divina e non tanto come atti curativi, anche se ovviamente non tacciono il beneficio ottenuto dal malato.
Tuttavia egli raccomandava ai suoi discepoli di curare i malati. Non è questo un esercizio dell’arte medica?
Non di curare, ma di curarsi degli ammalati.
E i discepoli hanno obbedito e sembra che abbiano guarito numerosi casi. Se anche essi hanno fatto miracoli, si tratta sempre di fatti eccezionali, forse più frequenti solo nel primo periodo del cristianesimo (Mc. 6, 7-13).
Per capire il pensiero di Gesù si può rifarsi a questo paragone.
Certamente il Signore per quello che riguarda la fede può intervenire con delle illuminazioni particolari, egli tuttavia ha raccomandato agli apostoli di istruire i credenti (Mc. 16, 15-16), non ha preteso per questo che usassero mezzi magici o straordinari; ed essi si sono comportati come tutti i maestri di questo mondo che impartiscono un normale insegnamento in una comune scuola (ibidem). San Paolo istituì nel suo vario peregrinare una vera e propria università itinerante, con libri, docenti e forse anche esami.
Alla stessa stregua devono essere considerate le raccomandazioni di Gesù nel campo sanitario, se egli ha dato agli apostoli in principio dei poteri eccezionali, era perché essi e la comunità nascente acquisissero l’impegno di curare i malati come un dovere.
Ben presto, dopo di lui, presso ogni chiesa locale, si direbbe oggi in ogni parrocchia, accanto alla distribuzione dei beni superflui, in vista di una maggiore equità sociale, nasceranno dei veri e propri servizi di infermeria, precursori dei nostri attuali ospedali.
Mai i cristiani, una volta incapaci di fare miracoli, si sono serviti delle arti magiche o della stregoneria, che molto probabilmente erano invece usate nelle sette religiose del loro tempo.
Prima di Gesù non esistevano gli ospedali?
I Romani consideravano la salute del popolo un bene supremo, ma dato le conoscenze dell’epoca, le loro cure non andavano oltre una certa pratica dell’igiene ed anche questa limitata a determinati ceti sociali.
Una politica di assistenza sanitaria era praticamente sconosciuta.
Durante l’epoca imperiale esistevano degli ospedali solamente nell’ambito dell’organizzazione militare.
I soldati feriti o ammalati venivano assistiti con lo scopo di essere ricuperati, continuavano insomma a far parte della macchina bellica: da una parte erano a carico dell’amministrazione militare, come tutte le altre spese destinate alla manutenzione dell’esercito, dall’altra erano soccorsi dalla commiserazione dei colleghi che ne condividevano le sorti e le preoccupazioni.
Un’altra forma organizzata di assistenza era quella offerta ai gladiatori. Se restavano infortunati nelle loro giostre, tutt’altro che innocue, avevano diritto subito ad un aiuto che fosse il migliore possibile, ma solo in vista di un loro riciclaggio; quelli che non promettevano di rimettersi presto venivano abbattuti prima ancora di lasciare l’arena del circo.
Erano quindi ospedali traumatologici...
Almeno prevalentemente.
A quel tempo le cure che non riguardavano ferite e infortuni erano maggiormente riservate alla pietà dei familiari che non al sapere dei medici e all’assistenza del personale paramedico.
Ma anche a quei tempi esistevano i medici…
… ed erano per così dire , grosso modo, di due tipi: gli scienziati e i praticoni, gli uni che si appoggiavano agli altri o, come capitava un po’ qualche tempo fa tra medici e chirurghi, rivali tra di loro.
Forse solo i primi si consideravano i veri medici, eppure anche il loro sapere era molto limitato. Basta pensare che allora, per studiare l’anatomia dell’uomo, al massimo sezionavano la carcassa di un maiale, per tirare delle conclusioni sull’ipotesi di una sua somiglianza con il nostro corpo.
Comunque costoro si sentivano abbastanza superiori agli altri che tuttavia erano sempre necessari se non altro come cerusici.
Questi ultimi il più delle volte possedevano una qualche abilità pratica, altre volte invece si facevano avanti con una certa prosopopea ciarlatanesca che li faceva diventare sospetti presso la gente.
Vestigia di questi giudizi rimangono nella storia di tutti i tempi fino all’epoca moderna, basta ricordare certe stampe dell’ottocento rappresentanti i cavadenti; a proposito la loro attività si limitava prevalentemente alle estrazioni dentarie e alle incisioni degli ascessi.
Anche nel nostro recente passato, quando non erano stati scoperti gli antibiotici, erano proprio questi gli interventi chirurgici non certamente sporadici, ma di routine.
Io stesso, poco dopo la fine della guerra, quando la penicillina costava più dell’oro, dovetti usare spesso quest’ultima procedura, che se ora non è del tutto dimenticata è diventata tuttavia una rarità, accompagnata com’era con il residuo di orribili cicatrici che lasciavano il loro segno indimenticabile delle sofferenze patite e dello scampato pericolo, talvolta mortale.
Nelle case patrizie della Roma imperiale c’era probabilmente quasi sempre uno schiavo capace di questi servizi, ma anche negli ambienti più poveri tutto si svolgeva nell’ambito familiare e privato.
Il cristianesimo invece ha rivoluzionato il modo di intendere e di praticare questa arte, anche se i cristiani, a dire la verità, non ne avevano né la coscienza né l’intenzione di farlo, sia nell’ambito privato e personale, sia in quello pubblico e sociale.
Un esempio classico è la trasformazione dell’isola Tiberina, sul fiume omonimo, (dove i padroni del mondo confinavano i vecchi fastidiosi e gli incurabili inutili in attesa della morte, dal ruolo di deposito di rifiuti umani) a centro ospedaliero, ancora attivo nei nostri tempi, tenuto com’è tutt’oggi da personale religioso, che gode grande stima presso la gente della città.
Si tratta di un vero miracolo, anche se non è avvenuto subito e d’incanto, ma sorto già ai primordi del cristianesimo perfezionatosi nel corso della storia fino ai giorni nostri.
In che cosa consiste questa rivoluzione?
In questo: che il malato doveva essere curato in quanto immagine di Dio e non come se fosse una macchina rotta.
I cristiani sapevano che ogni cura rivolta al malato era fatta a Gesù stesso.
La pratica medica diventava così un atto di religione e di devozione, che aveva valore di per sé anche nei casi disperati, quando non era prevedibile un successo, che richiedeva la fede del credente e l’impegno dell’uomo, che avrebbe la prima stimolato la ricerca scientifica e la seconda indotto a superare ogni fatica ed ogni delusione.
Si può dire che da questi inizi sia nato il fenomeno dell’accanimento terapeutico?
Con il termine ‘accanimento terapeutico’ si intende il più delle volte l’uso di tutti i mezzi per conservare non la vita di un paziente, ma alcune ore della sua sopravvivenza. In altre parole oggi la scienza ci offre la possibilità di prolungare una esistenza artificialmente, al prezzo tuttavia di gravi sacrifici personali, tecnici ed economici , anche quando manca una probabilità di guarigione.
Queste procedure non sono comprensibili se non nell’ambito della tecnica che non si domanda del futuro dell’uomo una volta deceduto, esse non facevano parte certamente delle intenzioni dei cristiani che credono nella resurrezione dei corpi e nella certezza di una vita oltre la morte.
Anzi per loro la cura del malato diventa una specie di preparazione a questa vita futura che non avrà più bisogno di medici e di medicine, ma che sarà sempre accompagnata dalle cure e dall’affetto dei fratelli di fede.
L’assistenza al malato diventa allora, in un certo senso, un anticipo del paradiso, dove le stesse sofferenze non sono che un tirocinio ed una prova della pratica dell’amore scambievole, destinato a rimanere per l’eternità.
Allora una pratica meritoria per aver diritto alla salvezza?
I primi cristiani non avevano questi problemi.
Il ricordo di Gesù uomo era recente e come amavano lui così sapevano di dover amare il fratello.
Quando si ama non si pensa al merito, ma non si immagina nemmeno che l’amore possa non esser corrisposto, non si tratta quindi di un atteggiamento mercantile del ‘do ut des’, ma di una vita che ha fondamento nell’esistenza stessa dell’amore, che non ha senso se non esiste Dio.
Ma a noi interessano i risultati pratici?
Sono due. Il primo è che la pratica infermieristica è diventata altamente encomiabile avviandosi a diventare così sempre di più specializzata, anche se per questo sono stati necessari tempi lunghi, forse di secoli.
Il secondo è che la medicina si è avviata inesorabilmente a diventare una scienza e non una pratica familiare.
Non era una scienza prima di Gesù?
C’erano effettivamente delle scuole mediche famose, basta ricordare quella di Ippocrate, di cinque secoli prima di Cristo i cui insegnamenti avrebbero avuto valore fin quasi ai giorni nostri; tuttavia, mancando gli ospedali, per forza di cose non esisteva la possibilità di un esame statistico dei risultati delle varie cure.
Se la medicina è una scienza sperimentale come avrebbe potuto progredire senza la statistica e come avrebbe potuto usarla se mancava una classe omogenea di malati da esaminare?
Io non dico che fin dai primi tempi i cristiani hanno stabilito le basi scientifiche dello sviluppo della medicina.
Essi si sono preoccupati solamente di assistere i sofferenti, ma con il loro metodo introdotto su larga scala e se necessario in ambienti specializzati, come sono appunto gli ospedali, hanno costituito, senza saperlo, le premesse indispensabili al fondamento di una scienza che si sarebbe sviluppata nei tempi successivi.
Insomma senza cristianesimo non c’erano ospedali, senza ospedali non ci sarebbe mai stata una medicina su basi scientifiche.
Allora la cura del malato raccomandata dal Signore come atto di fede e di umanità è diventata successivamente una pratica tecnica con il pericolo di essere fredda ed impersonale?
Quando Gesù guariva un ammalato con un miracolo il più delle volte lo rassicurava e gli dava fiducia con le parole: “La tua fede ti ha salvato”.
Probabilmente egli intendeva dire che, come aveva ottenuto la guarigione del corpo, aveva così conseguito anche quella della sua anima, di cui la prima sarebbe stata un segno e quindi la remissione dei suoi peccati.
Tuttavia è sorprendente il comportamento del Signore.
Egli avrebbe potuto dire: “La mia onnipotenza..”, oppure: “La mia carità…”, ed invece preferisce attribuire la causa del miracolo alle disposizioni di chi lo ha richiesto.
Questo è già sufficiente per spiegare come egli ci invita a trattare il malato; chi lo vuole aiutare deve far leva sulle sue buone disposizioni e dargli fiducia che può guarire. Il medico è contento di fare una bella figura con la sua opera e di attribuirsene il merito, ma deve preferire che la faccia il malato con la sua pazienza e, in effetti, chi ha la parte più difficile da recitare è proprio quest’ultimo.
Insomma Gesù raccomanda ed esige tutto il nostro impegno, sia di chi presta le cure, sia di chi le riceve, implicitamente non ammettendo nemmeno che si metta in dubbio che il suo possa mancare.
Ogni fenomeno naturale, ogni atto della ragione e della attività umana dipendono del tutto dalla materia e dall’uomo e distintamente in uguale misura dall’intervento divino, pur rimanendo sempre il loro compiersi in unità.
Per questo ogni situazione ha una spiegazione umana razionale e nello stesso tempo una soprannaturale ‘divina’, valide e comprensibili indipendentemente e distintamente e nel medesimo tempo senza misteri, se si accetta il ‘mistero’ del divino.
Quindi, dopo tutto questo lungo discorso, si può dire che la scienza medica può presentarsi come una pratica fredda e tecnica necessitata dalla materia in sé e che sfocia nella guarigione o no del paziente, ma può e deve essere anche un atto di fede e di amore, sempre fondata su una ragione di virtù e di bontà; essa non è mai impersonale e puramente materiale, esige quindi anche tutto l’affetto del cuore umano e la partecipazione del suo spirito che crede.
Ripetendomi: quando Gesù dice: “La tua fede ti ha salvato”, egli fa riferimento a tutte quelle qualità che sono proprie di un uomo perfetto e che sono necessarie sia al medico che al malato.
Comunque la tecnica medica e le strutture dove essa si può applicare rimangono preminenti per la cura del malato.
Qualsiasi medico è stato chiamato nella notte più di una volta per futili motivi.
Fortunatamente negli ospedali gli infermieri funzionano da filtro in diverse occasioni, almeno quanto in altre, quando ancor più lodevolmente, si accorgono che l’opera del medico deve essere richiesta con urgenza, mentre il paziente, magari, non ne aveva il minimo sentore.
Così, quando uno è stanco ed ha i nervi a pezzi, benedice chi non lo ha svegliato inutilmente.
È un esempio, anche se banale, di come una struttura possa standardizzare il lavoro e renderlo quindi più economico ed anche più efficiente.
Quando Gesù guarisce una paralitica nella sinagoga e di sabato, in termini nostri in chiesa e di domenica, come per esempio, durante la messa, il capo della sinagoga, preposto dell’organizzazione, si lamenta ad alta voce con la gente: “Non ci sono sei giorni lavorativi per farsi curare, perché venite di festa a richiederlo?”.
Egli principalmente sembra preoccupato che sia salva la legge mosaica del riposo sabbatico, ma si tradisce anche come persona infastidita dalla folla, come quel medico svegliato nel cuore della notte.
E anche qui Gesù stabilisce il primato dell’amore: esso è un dovere più divino di ogni divino comandamento (Lc. 13, 10-17).
I santi sul suo esempio diranno: “Caritas Cristi urget nos”, “Siamo urgentemente spinti dall’amore di Gesù.”
Se la medicina chiama in causa tutto l’uomo, anche la sua anima, può allora diventare lecito l’uso dello spirituale per guarire i malati. In una parola i miracoli possono essere di pertinenza medica?
Anche qui può servire il paragone con l’acquisizione del sapere, che è una specie di guarigione della ragione, in quanto essa si libera dell’errore, che è la sua malattia.
Certamente una persona attenta che vuole imparare arriva a farlo molto meglio e molto prima di una svogliata e distratta, così si può dire che il malato che ‘vuol guarire’ lo ottiene più facilmente di chi ha perso ogni speranza, se non altro perché sa meglio affrontare i sacrifici imposti dalla cura.
Ma nell’uno e nell’altro caso non si tratta di risposte miracolose ad una fede religiosa.
I miracoli rimangono miracoli e non riguardano la medicina. La loro interpretazione non può avvenire se non nell’ambito del ‘mistero’.
La scienza può intervenire solamente per valutare e accertare criticamente il fenomeno, in pratica per controllare che esso non celi un imbroglio.
E’ il caso della commissione sanitaria istituita dalle autorità ecclesiastiche a Lourdes che ha attestato la non spiegabilità medica di numerose guarigioni avvenute in quel luogo.
Ripetendomi: quello che non è naturale, ma che supera questo campo non è di pertinenza medica.
Voler spiegare i miracoli con la scienza equivale a voler capire l’esistenza della vita, come se l’avessimo creata noi.
Far intervenire la religione nella medicina è un errore di uguale portata di quello che si fa, quando si usa la medicina per spiegare la religione.
Quindi lei nega che ci possa essere un’influenza della fede sulla salute.
L’uomo rimane sempre una persona tutta intera, unita in se stesso, per cui sicuramente lo spirito ed il fisico non sono due compartimenti stagni, senza relazione tra di loro.
Tuttavia lo studio dell’uno e dell’altro, così come la loro comprensione, deve avvenire distintamente e con strumenti diversi, adeguati nei due casi.
Per capire il corpo e le sue funzioni bisogna usare il sapere medico e non i libri di teologia e, viceversa, voler capire il perché dei miracoli con il bisturi ed il microscopio è un assurdo.
In quest’ultimo caso bisogna ascoltare la parola di Dio e la rivelazione.
Ciò non vuol dire che anche in questo campo l’uomo non sia chiamato a riflettere, anzi è un suo preciso dovere, non sconosciuto alle persone che sanno meditare, che non potrà mai tuttavia reggere alla comunicazione sperimentale dell’incontro della loro coscienza con la grazia del Signore.
A proposito di coscienza: Gesù riconosce la malattia come manifestazione di una colpa? E’ essa la conseguenza del peccato?
La bibbia riferisce che con il peccato è entrata la morte e quindi la malattia nel genere umano.
Il problema è complesso. Gesù, anche se forse lo ha trattato, non ne ha dato la spiegazione (Lc. 13, 1-5).
Tuttavia ha portato la risurrezione e la vita.
Bisogna dire che in questo campo si è comportato come quei sanitari che non spiegano al malato la ragione del suo male, ma lo guariscono.
Direi che si è rivelato un buon medico con una ottima cura.
Tuttavia la domanda è lecita.
Ma io sono un incompetente per dare una risposta, per cui se la do e se qualcuno dovesse leggerla, dovrà essere considerata con indulgenza.
Allora.
L’uomo non è Dio, quindi è limitato.
Il suo limite si chiama, per quel che riguarda il corpo, malattia e, per quel che riguarda lo spirito, peccato.
La creazione consiste non solo nell’inizio di una realtà diversa dal Creatore, ma anche nella sua distinzione.
Se la natura non avesse avuto una vita sua propria, diversa da quella di Dio non avrebbe avuto nemmeno la possibilità di esistere.
Questa differenziazione agli occhi di Dio, che non ha limiti e si chiama Amore, rimane una distinzione in seno ad una unità più grande, non è quindi una divisione. Lo è invece per l’uomo che, come abbiamo detto, è necessariamente imperfetto e per il quale essa si può chiamare separazione, egoismo o, se si vuole, insicurezza, precarietà, incomprensione e così via.
Insomma peccato e malattia sono una eredità dell’uomo.
Eredità necessaria?
Se esistesse solo quell’uomo che siamo noi sarebbe in un certo senso necessaria, ma siccome ognuno può ristabilire la sua unità con Dio e amarlo, per così dire, alla pari, vincendo ogni divisione, in Gesù vero uomo e vero Dio, allora il peccato, la colpa, la malattia non manifestano una natura irrimediabilmente rovinata, sono invece una possibilità offerta a ciascuno di noi per fare la scelta della salute e della bontà.
Insomma se il vangelo riferisce il pensiero di Gesù e ci assicura che niente è stato fatto senza di lui e se egli è stato il mediatore universale, a buon diritto noi lo possiamo chiamare anche nostro Redentore.
Ma come dicevo è il parere di un incompetente.
Comunque a questo proposito e da altri punti di vista ho già scritto su un libretto intitolato; ‘Un medico legge la bibbia’; chi ha interesse all’argomento apprezzerà certamente questa mia nota propagandistica.
Ma dalla medicina senza volerlo siamo passati a parlare dell’argomento della grazia e della fede che ha reso nemici i cattolici e i protestanti per diversi secoli. La natura umana è irrimediabilmente rovinata dal peccato originale?
A quei tempi la discussione verteva su una umanità ipotetica, considerata come se fosse potuta esistere indipendentemente e senza l’innesto dell’incarnazione, mentre veramente Gesù è quell’uomo come noi, che è entrato nella nostra storia che senza di lui non avrebbe un perché.
Chiunque, senza la sua unità con lui, forse potrebbe essere irrimediabilmente rovinato dal peccato originale, ma una persona simile non esiste, se non ammettendola come un’immaginazione del nostro ragionare, in pratica come una finzione della realtà. Ciascuno di noi è indissolubilmente legato con il Redentore, così che la nostra natura mancante non è rimasta nemmeno senza il suo completamento.
Queste considerazioni possono essere utili nel colloquio con gli altri cristiani. L’ecumenismo è di pertinenza anche dei medici?
Uno dei miei migliori amici è un pastore protestante, eppure a ben vedere questa nostra amicizia è il frutto di quella che ciascuno di noi ha con il Signore e se egli chiese ai malati la fede per poterli guarire, non altrimenti la chiede di nuovo a noi per salvarci dalle nostre divisioni.
Quindi basta solo la fede?
Basta vivere con maggior coerenza la nostra fede, perché la fiducia che Gesù ha verso di noi è già scontata.
Comunque si può dire, allora, che in paradiso i dottori saranno disoccupati?
La medicina è troppo importante per escluderla dal paradiso.
Personalmente io penso che sarà una scienza e quindi solo un corredo della sapienza e riguarderà lo studio del corpo umano, che finalmente funziona bene, al posto di presentarsi spesso malandato ed in cattive condizioni.
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