giovedì 11 febbraio 2010

Unità-distinzione


La prassi ‹dell’unità-distinzione›

L’unità-distinzione può considerarsi un problema e può manifestarsi un mistero. Per cercare una possibile spiegazione la paragoniamo con un’altra questione.
Che cos’è la pace?
La domanda è un problema, mentre se io faccio la pace con il mio prossimo e se riesco anche a concluderla, tanto che la posso fermare in un contratto alla presenza di testimoni, allora, supero qualsiasi dubbio su quel mistero che era per me la pace.
Altrettanto e a maggior ragione è quella risposta alla domanda che cosa sia l’unità. Se non la si costruisce, non la si sperimenta, se non la si sperimenta, non la si conosce e, quindi, non si può capire e non si può spiegare.
Come faccio io l’unità con me stesso?
La risposta è semplice. Io tutti i giorni eseguo fatti e dico parole che manifestano atti del mio esistere, come espressione delle facoltà donatemi dal mio essere (natura), ordinate all’esistere dal mio spirito.
In pratica come avviene tutto questo?
La mia natura fa dono all’esistere delle sue facoltà e l’esistere le traduce in qualità. Una volta compiuto questo processo l’essere ‹vede› nell’esistere quel qualcosa di quel suo essere che si è fatto esistenza. Ora, ripetendomi, se l’essere vede nell’esistere se stesso chiarito, compreso vissuto, ovverosia vede più essere e insieme più esistere o, in altre parole, se vede sé nell’esistere, allora vede l’unità, perché vede nello stesso tempo e insieme l’essere sé e l’esistere sé fatti uno secondo l’ordine dello spirito.
Qualcosa di analogo avviene tra me e il mio interlocutore ai fini della costruzione dell’unità-distinzione con lui. Quando io vado dal mio interlocutore per donargli me stesso ed egli lo accoglie, allora io spontaneamente e sorprendentemente ‹vedo› me stesso vissuto da lui: vedo me e vedo lui come me; vedo lui e capisco meglio me, anzi, capisco lui unito a me ed io ordinato all’unità con lui. In questo caso è evidente che l’unità è cresciuta, ma che nello stesso tempo anche la distinzione è più grande, come un aumento del particolare di ciascuno assunto nell’unità. Nel caso invece che non avvenisse in questo modo, bisognerebbe concludere che io sono andato da lui, non per donare me, ma per imporre me stesso oppure, per necessità, di sottopormi al suo dominio. Nel primo caso questa imposizione mi fa vedere ancora me stesso, ma solamente me, e non un me accolto e vissuto dall’altro, al punto che se il rapporto assomiglia ad una unità lo è solo in apparenza e più propriamente consiste in una confusione; mentre se io vado dal mio prossimo per necessità cerco un me stesso in un diverso da me che non ha ricevuto il mio dono, ma la mia pretesa e, anche in questo caso, non c’è unità, ma una supposizione falsa e artificiale.
Da questo schema che descrive come avviene la pratica dell’unità è facile risalire al significato ed al valore dell’unità, illustrandola per se stessa come idea. Abbiamo visto che l’unità consiste nel vivere sé nell’altro e l’altro in se stessi, in questo senso si parla di distinzione e solo secondariamente di unità ma, poiché la distinzione è vissuta da due che sono diventati uno si può parlare di un'unità che ci fa conoscere non due persone, ma l’‹uomo› dei due, ovverosia l’‹idea› dei due singoli uomini. Non si tratta di una idea immaginaria, o costruita artificialmente, o ricavata per estrazione dall’uno e dall’altro, ma di una realtà, che ha il suo fondamento in re, ovverosia nell’unità, che consiste nel vivere l’altro nell’uno e sé nello stesso uno, perché i due si sono fatti dono l’uno per l’altro.
Con parole diverse, questo dono reciproco ha fatto diventare la distinzione unità e i due diversi sono diventati l’‹uomo› unico, che non è solamente idea, ma è soprattutto ‹ideale›. Si tratta di quell’uomo scelto insieme dai due che è ‹vero› e non solo veritiero, perché è riconosciuto confermato ed ‹eletto› (amato) da ciascuno dei due singolarmente e, nello stesso tempo, insieme.
È questo riconoscimento di sé nell’altro e dell’altro di riflesso in sé che traduce la virtù dell’unità in quell’ordine che é la premessa e il compimento dell’unità stessa. Senza la virtù della fiducia, della dilezione e della speranza, non c’è nemmeno l’unità, ma semmai un'organizzazione artificiosa di persone necessitate o necessitanti oppure necessitate da altri pochi che la impongono altrettanto artificialmente.

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